Domenica 2 giugno 2019 Macro Asilo Roma
KS THE MAN WHO SMILED TOO MUCH
Una lezione in forma di concerto soprattutto su Kurt Schwitters
con
Steve Natterstad piano • Pasquale Polidori voce narrante • Tianyi Xu azioni
e
coro: Luigi Battisti • Simone Compagno • Claudia Melica • Jacopo Natoli
assistente dialogante: Arianna Desideri
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Trascrizione della lezione-concerto.
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[ entra il coro recitando il Rosario-Schwitters, in tre parti, ogni volta cambiando posizione sulla scena ]
[1]
capisce qualcosa • implora una redenzione • trasmuta • canta • trilla • mormora • gorgoglia • giubila • ci insegna qualcosa • si mette al lavoro • si cambia • veste una camicia • si toglie la dentiera • depone la dentiera (in un bicchiere) • si copre la testa • MERZA • gli serve un piano a coda • conserva i barattoli • pone una casetta • realizza una casetta • MERZA un edificio • abita in un edificio • erige le colonne • scopre il senso • rifiuta qualcosa • si lascia contenere • è contenuto • riempie i luoghi • cattura qualcuno • scaccia le nuvole • spazza via i concetti • precipita dal piedistallo • fa qualcosa • mantiene la serietà • interrompe le poesie • si sente bene • rovescia il barattolo • lavora • dà un nome a qualcosa • lavora con il sudore • incolla le opere • chiede qualcosa • fa qualcosa di un ammasso • guarda l’ammasso • dichiara qualcosa • rovescia un ammasso • incolla un naso • scrive qualcosa • è un mago • è un creatore • entra nella stanza • somiglia a un fattore • presenta i pannelli • apre la bocca • estrae un cartoncino • si mette il cartoncino sul petto • declama una poesia • grida una poesia • fischia una poesia • urla una poesia • ritiene qualcosa • fa qualcosa • si presenta • fa una riverenza • è conosciuto • declina qualcosa • fa visita a me • copre i muri • copre le finestre • copre le porte • usa una colla • è in attività • si affaccenda • fa qualcosa • fa un segno • salta giù dal tram • risponde alle proteste • mostra la targhetta • svita la targhetta • porta un cacciavite • ha un armamentario • utilizza la targhetta • è ritto sulla scena • comincia la Ursonate • fischia • urla • stride • rimane costernato • si raggela • qualcosa lo disturba • prosegue qualcosa • declama qualcosa • copre il turbine • chiama l’arte arte • crea l’immagine • crea l’aspetto • gioca con l’argomento • gioca con l’oggetto • trae i materiali • è un’individualità • è dada • è dada • partecipa a Dada • crea MERZ • raccoglie ferraglie • raccoglie rotelle (di orologi) • raccoglie oggetti • usa oggetti • si diletta della colla • realizza i miracoli • resuscita qualcosa • spiega qualcosa • compone una scultura • si taglia i capelli • mette da parte i capelli • sottrae una matita • sottrae una stringa • sottrae una sigaretta • sottrae un’unghia • sottrae un papillon • sottrae una piuma • sottrae gli oggetti • sottrae un ponte • sottare una fiala • spiega qualcosa • gira intorno a qualcosa • aggiunge qualcosa • è obbligato a fare • adotta una soluzione • è proprietario della casa • congeda gli affittuari • buca il soffitto • prosegue la colonna • finisce la colonna • ricomincia la colonna • abbandona la colonna • fa la colonna • perdona qualcosa • si identifica con un’opera • vive un’opera • crede in un’opera
[2]
soggiorna in Inghilterra • ottiene un passaporto • si reca negli Stati Uniti • raggiunge gli artisti • elabora Merz • ha bisogno di qualcosa • fa le opere • si ricostruisce un passato • piace ai newyorkesi • conosce la Germania • ha nostalgia della Germania • evade dalla Norvegia • arriva in Gran Bretagna • è internato • scrive alla madre • ascolta le conferenze • dipinge le teste • firma una petizione • riempie un formulario • è esausto • va in chiesa • è incapace • crede nella bontà • conosce qualcosa • è soggetto alle crisi • prosegue l’attività • è stimolato • è noto • dipinge a memoria • ha sott’occhio qualcosa • ha il privilegio di qualcosa • ottiene il vino • ottiene i sigari • trasforma il granaio • beneficia dei vantaggi • dà misura del talento • compare come artista • ha una conoscenza • usa la polvere • ottiene la pittura • macina i minerali • macina i coloranti • mescola le razioni • mescola la gelatina • fa bollire le ossa • mescola la farina • mescola le foglie • fa a pezzi le casse • strappa il linoleum • costella la stoffa • sfrangia la stoffa • cosparge la stoffa di macchie • incolla la suola • fissa qualcosa • conserva la pittura • si pone un problema • ha un passato • è tra due mondi • scrive poesie • è prigioniero • utilizza l’immagine • traduce lo smarrimento • è preso in qualcosa • gli è permesso qualcosa • supera le difficoltà • utilizza i talenti • scrive in inglese • scrive in tedesco • ricrea il passato • è solo • è incompreso • è l’esperienza • abita a Bayswater • vive con Ernst • vive con Esther • incontra Edith • è liberato • prova qualcosa • cerca lavoro • aspetta all’infinito • fa eccezione • entra in relazione • diventa membro • espone un’opera • incontra Ben • incontra l’intellighentzia • evoca un mondo • anticipa il sentimentalismo • drizza gli orecchi • apre gli occhi • si impregna dell’ambiente • è ascoltato • fa una lettura • si diverte • è illogico • incontra Stefan • incontra ancora Stefan • prende atto di qualcosa • realizza un collage • è il maestro • è un refrattario
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si ribella • comprende gli scarti • vede un volto • vende quattro opere • riceve tre commesse • inventa una forma • è felice • è riconosciuto • apprende qualcosa • ha i mezzi • lavora al Merzbarn • raccoglie gli artisti • prende il tè • stabilisce un rapporto • si reca a Londra • festeggia il matrimonio • è felice • vende i paesaggi • vende i ritratti • afferma qualcosa • è isolato • fa un commento • vive gli anni • rinuncia a un periodo • lavora • dimentica un periodo • è un impressionista • è Merz • ha vergogna di qualcosa • fa i ritratti • ritorna alle radici • avanza a ritroso • mette a parte qualcuno di qualcosa • omette qualcosa • firma i quadri • utilizza il vermiglione • traccia la firma • esita • dà un recital • rinnova i rapporti • è un corrispondente • invia opere • rende omaggio agli amici • immortala Andrew • si reca alla Tate • immortala gli amici • trasforma la corrispondenza • è felice • rinnova il rapporto • conosce l’evoluzione • sogna un’opera • sogna un progetto • corrisponde con gli amici • scrive qualcosa • scrive un’epopea • è consapevole di qualcosa • fa il suo effetto • è idolatrato • trasmette il rifiuto • passa la fine • accarezza il sogno • torna a Hannover • rieleva il Merzbau • si esalta • critica l’Inghilterra • critica l’arte • è un artista • esulta • riceve la notifica • realizza i progetti • lavora • crea • restaura il Merzbau • confida qualcosa • sputa sangue • ammette qualcosa • utilizza il fienile • comincia il Merzbarn • scrive qualcosa • ottiene l’autorizzazione • applica il gesso • ottiene un effetto • dimostra entusiasmo • costruisce un Merzbarn • finisce il lavoro • scrive qualcosa • utilizza la pittura • prevede un sistema • compone la scultura • costruisce la scultura • dipinge la scultura • è povero • è malato • redige il testamento • si occupa dei preparativi • è sconosciuto • è felice • legge l’articolo • partecipa a una mostra • prova soddisfazione • scrive • vive • chiede • si indebolisce • scrive a Ernst • riconosce qualcosa • muore • cade nel delirio • è trasportato • muore • chiede • brucia • è vivo • brucia • costruisce il muro • abbatte il muro • è disponibile • va in aiuto di qualcuno • presta i quadri • presta le sculture • utilizza gli imballaggi • utilizza i fumetti • anticipa l’entusiasmo • anticipa le ricerche • si rifugia nel permissivo • si rifugia nel primitivo • spicca il volo • lascia la disciplina • rispetta la tradizione • ritorna al primitivo • rifiuta la tradizione • è nutrito • approccia l’oggetto • ha una concezione • predice qualcosa
[ piano: THE MAN I LOVE ]
The Man I Love è una canzone romantica. Forse la conoscerete, perché un vero classico di Broadway, è di Gershwin. Ed è una canzone che parla di un amore immaginato, cioè di una persona, un uomo, che deve arrivare a un certo punto; la persona che canta è estremamente precisa nel descrivere l’arrivo di questa persona, dice: forse arriverà domenica…
Coro: Ma non è pazzesco?
Sì, forse non si crede, forse è una cosa pazzesca, ma è così: pensare con precisione al momento dell’arrivo della persona amata, che ci conquisterà il cuore, questo è il centro della canzone. Arriverà domenica, forse no; forse lunedì, non lo so; forse martedì sarà il giorno giusto per l’arrivo, non lo so; ma sono sicura che un giorno arriverà e mi porterà in una casa costruita esattamente per noi due. La cosa che colpisce in questa canzone è la precisione nella descrizione di quello che dovrà avvenire.
Coro: Questo è un cliché!
È un cliché, è un cliché infatti. L’amore romantico è un cliché, è vero. Diciamo che l’amore è un fatto culturale, quindi l’amore, il romanticismo, il linguaggio sono tutti fatti culturali.
Coro: È tutta una farsa!
Non è una farsa, non è una farsa. È una costruzione. È una costruzione che si dà nel momento in cui noi entriamo all’interno del linguaggio. Il momento che noi apprendiamo a parlare, impariamo a parlare, abbiamo bisogno di crearci dei fantasmi; e questi fantasmi sono quanto la nostra mente descrive e aspetta ed è quanto si frappone fra nostra mente è la realtà. Quindi se vi sembra una farsa, purtroppo la farsa siamo noi! Io ho vissuto questa esperienza, come tutti abbiamo vissuto questa esperienza. Ma piuttosto che raccontarla nella concretezza delle mie relazioni, vi parlo di questa immagine, che forse possiamo proiettare… [si gira verso l’assistente] Ce l’abbiamo? Eccola qua. Questa è una cartolina che costa 1 euro; 1 euro al museo Sprengel di Hannover, dove andai due anni fa e visitando il museo conobbi le opere di Kurt Schwitters, a cui è dedicato tutto questo lavoro; e prima di uscire, sono andato al bookshop, e ho visto questa cartolina. E questa cartolina mi ha immediatamente sedotto; la faccia di Kurt Schwitters mi ha sedotto, cioè: questa. Ora, cercare i motivi per cui questa faccia mi ha sedotto…
Coro: Fate entrare i pagliacci!
I pagliacci adesso arrivano. Per il momento il pagliaccio sono io. Cercare i motivi per cui questa faccia mi ha sedotto, non… Li potrei elencare, non sono molto semplici: il ricordo del sorriso forse di un familiare, magari di mio padre; oppure, un certo modo di presentarsi che avevano gli uomini quando io ero bambino, quando sono entrato nel linguaggio e mi sono fatto i primi fantasmi; oppure il fatto di vedere un artista che si presenta, e che dà una immagine di sé che è qualcosa che voi non vi aspettate. Infatti se voi guardate questa faccia, che cosa vediamo? Vediamo un uomo sorridente che potremmo scambiare per un venditore ambulante porta a porta, non un artista dadaista. Non ha lo sguardo puntato, acuto, severo di Tristan Tzara, per esempio. Poi vedremo… Abbiamo Tristan Tzara? [si gira verso l’assistente] Non abbiamo Tristan Tzara, no, ok. Non ha neanche lo sguardo da sconvoltone. Ha lo sguardo di una persona che ama piacere a chi lo sta guardando, e a chi lo sta fotografando. Questa foto fu scattata nel 1926, in un giorno di lavoro da Genja Jonas. Genja Jonas allora era una delle più importanti, forse la più importante ritrattista tedesca. Possiamo vedere le altre foto scattate nello stesso giorno dalla Jonas. Eccola qua, questa è la seconda. In questa fotografia vedete benissimo il senso di gioco che caratterizza lo spirito di Schwitters. Schwitters qui ha quarant’anni, ed è in un momento… ha quasi 40 anni, ed è in un momento felice della sua esistenza. Dieci anni dopo succederà il disastro; quindi la fuga in Norvegia, e poi la guerra e tutto quello che ne è seguito. Anche per Genja Jonas era un momento di grande felicità. Lei anche finirà abbastanza male, perché la Jonas addirittura non riuscirà neanche a lasciare la Germania; nel ‘38 morirà di tumore, prima della fuga dalla Germania. Però in quel momento erano abbastanza felici. E si vede benissimo, dalla foto, che lei gli ha detto: Mettiti di profilo, e fai vedere la guancia. Perché gli ha detto, Fai vedere la guancia? Guardate lo sguardo di lui. È uno sguardo che non guarda da nessuna parte; è uno sguardo docile, di chi ubbidisce all’amica che lo fotografa. L’amica sa qual è il punto forte di questa faccia: la guancia. Perché la guancia è veramente quanto di più dolce e baciabile c’è nella faccia di Kurt Schwitters. E l’amica gli dice: Ok, abbiamo fatto la foto del sorriso, come il venditore ambulante; adesso facciamo la foto del pubblicitario di dopobarba. E lui fa il pubblicitario di dopobarba. Questa è la caratteristica di Schwitters: stare al gioco di chi gli sta di fronte; cercare di stabilire una relazione. E questo sta alla base di tutte le sue opere. C’è una terza foto, che è questa, sempre dello stesso giorno; la terza foto in cui lui finge di…, forse lo fa davvero, di recitare la Ursonate, e si dà questa attitudine, questa impostazione, uuuh, da cantante.
Questo è solamente una piccolissima parte di tutto quello che io ho fatto per due anni dopo che mi sono innamorato di una cartolina.
Coro: Ma non è pazzesco?
È pazzesco, sì! Infatti, mi sono innamorato della cartolina. Sono tornato ad Hannover tre volte. Ho comprato tutti i libri che si potessero comprare, e che fossero disponibili su Schwitters. Ho cercato il modo per fare in modo… per far sì che questa cartolina sentisse il mio affetto, e che questa immagine sentisse quanto io l’amavo.
Coro: Questo sì che è strano!
Questo è strano; però è quello che accade ogni volta che entrate in un museo e vi piace un’opera. Quindi adesso, siccome io ve l’ho raccontata così, e ho detto: Sono innamorato di una cartolina e di una faccia, vi sembra strano. Ma se io vado in un museo e mi innamoro di un’opera, perché non è strano? Il problema qual è? Il problema è che se noi ci innamoriamo di una immagine, di un fantasma, oltretutto di una persona morta — quindi non c’è nessuna possibilità che io possa incontrare Schwitters, che possa dargli un bacio sulla guancia, o abbracciarlo, farmi abbracciare; tutto questo è fuori discussione — che cosa posso fare? Posso cercare di trattare con questo fantasma. E quindi accettare che il mio amore si risolva tra me e il fantasma di Schwitters, o il nome di Schwitters.
Questo è quello che abbiamo fatto nel laboratorio che è durato un mese qui al Macro: abbiamo cercato di stabilire una relazione con il fantasma di Schwitters, per fare in modo che questo innamoramento potesse avere una qualche materialità. I fantasmi ovviamente non hanno materia; quindi, non è possibile. Il fantasma è immagine. Tuttavia si può concepire… Ecco il laboratorio. Qui vedete… Ci vedete al lavoro, ecco qua. In particolare in questo in questo che cosa stiamo facendo? Abbiamo considerato alcuni testi scritti dagli amici di Schwitters, che ricordavano Schwitters; quindi Tristan Tzara, Raoul Hausmann, oppure Hans Richter, ok. E poi anche… Questi testi sono stati selezionati da Arianna Desideri. E anche abbiamo preso in considerazione uno dei saggi più importanti scritti su Schwitters, che è quello di Sarah Wilson, la quale racconta gli ultimi dieci anni in Inghilterra della vita di Schwitters. Su questi testi abbiamo fatto una specie di analisi logica, cioè abbiamo estratto tutti i verbi che avessero per soggetto la parola ‘Schwitters’, e successivamente, le frasi che noi abbiamo ottenuto le abbiamo ridotte, togliendo gli aggettivi, togliendo gli avverbi, togliendo tutto quello che non fosse necessario a un significato minimo e nucleare, in modo da ottenere delle piccole frasette. A che cosa servono le piccole frasette? Forse possiamo vedere… [si gira verso l’assistente] Le piccole frasette sono queste. Queste sono, per esempio, le frasi che avete ascoltato… Grazie. Queste sono le frasi che avete ascoltato, e queste frasi compongono quello che si può chiamare un Rosario. A parte che siamo nel mese di Maggio, eravamo nel mese di Maggio ai tempi della composizione di questo Rosario; il mese di Maggio è il mese del Rosario, ma la nostra Madonna era, è stata, la faccia di Schwitters, e il nome di Schwitters, il fantasma di Schwitters. Cioè, la nostra Madonna è stata questa che io chiamerò: un’unghia del pensiero. Un’unghia del pensiero è il fantasma. Il fantasma nasce così quando… Anche in psicoanalisi la parola ‘fantasma’ arriva quando il bambino entra nell’universo linguistico e si rende conto che fra lui, in quanto soggetto, e la realtà, c’è uno spazio simbolico. In questo…
Coro: Oh, che sorpresa!
Infatti, questa è la vera sorpresa! In questo spazio simbolico, il pensiero si fa le unghie. Schwiotters è un’unghia; come un’unghia sono tutti i fantasmi che popolano la nostra mente: i fantasmi erotici, ma non solamente i fantasmi erotici; anche i fantasmi… semplicemente che sono la rappresentazione del tutto, diciamo, non partecipata… qualche volta di paura… che noi ci facciamo del mondo. Abbiamo recitato questo Rosario più e più volte durante questo mese di Maggio. E la recita di questo Rosario era… per noi è stata, per noi, la possibilità di salire verso questo Paradiso in cui si trova il mio innamorato. E chi è il mio innamorato? È Schwitters.
Coro: E questo sarebbe il Paradiso?
Il Paradiso è Schwitters. Il Paradiso è la faccia di Schwitters dove io devo arrivare, e dove non ho nessun modo di arrivare, se non attraverso una litania sul suo nome. Non è non è possibile! Se amate un fantasma, se amate un’immagine, dovete creare qualcosa intorno a questa immagine, e fare in modo che questa immagine diventi una specie di ready-made a cui voi date il vostro significato
Coro: Ma non è pazzesco?
È pazzesco ma è questo! Stairway to Paradise!
[ piano: STAIRWAY TO PARADISE ]
Quello che loro dicono essere pazzesco, non lo è. A meno che non siamo tutti pazzi. Perché il punto di partenza o, diciamo, la convinzione che io potessi veramente copulare con questa immagine, e farmi possedere dall’immagine, che era l’unico mio obiettivo, arriva in parte da questo libro, Babel di Patti Smith. [prende un libro da terra]. Siamo nel 1980, io avevo sedici anni, mia sorella ne aveva quattordici; questo libro era arrivato a casa mia per una vicina di casa, che ce lo aveva comprato. In questo libro, Patti Smith immagina di fare l’amore con… Arthur Rimbaud!
Coro: Ma non è pazzesco?
Sì, infatti! Perché se uno pensa di fare l’amore con Arthur Rimbaud… A parte il fatto: Arthur Rimbaud, quando? Arthur Rimbaud alla prima comunione? Arthur Rimbaud quando aveva sedici anni ed era il diavolo che tutti sappiamo? Arthur Rimbaud quando se ne andò in Abissinia, e diventa trafficante di schiavi? E abbiamo a disposizione delle fotografie… Abbiamo le foto? [si gira verso l’assistente] La prima comunione. Sedici anni. Eccolo qua in Abissinia: si può sognare di fare l’amore con un uomo del genere? Questo è quello che scrive Patti Smith:
[ legge dal libro di Patti Smith ]
sogno di rimbaud / sono una vedova. potrebbe essere charleville o potrebbe essere ovunque. / muovere verso l’aratro. i campi. il giovane arturo nasconde / presso la fattoria (roche?) la pompa l’artesiana / bene. getta vetro verde alias cristallo rotto. / mi coglie nell’occhio. / (…) / lo picchio duramente e rapidamente. qualcuno lo fece. tu lo facesti. / cade prostrato. piange si aggrappa alle mie ginocchia. gli afferro / i capelli. tutti ma brucia le mie dita. spessa volpe infuocata. / soffici capelli gialli. ancora quella chiara sfumatura rosa. / rubedo. accecamento rosso. capelli dell’uno. / o gesù lo desidero. sporco figlio di puttana lecca / la mia mano. mi calmo mi calmo mi calmo. lascia immediatamente tua madre attende. Egli / si alza. Sta andando via. ma non senza un’occhiata da / quei freddi occhi blu che frantumano. lui che esita / è mio. siamo sul letto.
Stanno facendo l’amore e se lo può fare Patti Smith perché non lo posso fare io con Schwitters, non capisco…siamo sul letto. ho un coltello alla sua / gola. lo lascio cadere. ci abbracciamo.
Attenzione adesso perché immaginereste qualcosa di molto, molto felice…ci abbracciamo. divoro il suo scalpo / pidocchi grossi come dita di marmocchi. pidocchi il caviale dei crani… // o arthur arthur, siamo in abissinia aden facendo l’amore / fumando sigarette. ci baciamo. ma è molto di più. azzurro, / stagno blu. lago liscio come l’olio. sensazione da telescopio, animata. / scrofa cristallina. palloni di vetro colorato che esplodono. / cucitura di tenda berbera che si disunisce. aperture, aperte come una cava, / si aprono completamente. resa totale.
Allora…Coro: E questo sarebbe il Paradiso?
Il Paradiso è la testa pidocchiosa di Rimbaud. Il Paradiso è la guancia baciabilissima di Schwitters. Il Paradiso è l’immagine di cui ci innamoriamo e che dobbiamo a tutti i costi portare nella nostra vita e nel nostro linguaggio. Ognuno ha i suoi, di fantasmi; e ognuno ha i suoi, di desideri. La faccia di Schwitters è semplicemente la più bella di tutta l’Avanguardia. Se vi facessi vedere le foto degli altri… Eccoli qua! [indica un’immagine proiettata]
Coro: Fate entrare i pagliacci!
Questi due sono due grandi pagliacci, cioè: Jean Cocteau e Sophie Taeuber-Arp. Che cosa è successo… Io volevo sapere se… Io volevo sapere se la mia passione per Schwitters potesse in qualche modo reggere il confronto con altre facce di artisti dell’Avanguardia Allora quello che abbiamo fatto, nella seconda parte del laboratorio, dopo aver recitato il Rosario, è stato di prendere in considerazione 160 fotografie di artisti contemporanei di Scvhwitters… In mezzo c’è di tutto: c’è Matisse, c’è Picasso, c’è Léger, c’è Tristan Tzara, c’è Kandinsky! L’obiettivo era quello di trovare in ognuno di questi corpi uno o due, potendo anche tre, elementi di grande seduzione, quindi elementi che potessero accendere il desiderio per l’immagine che in me ha acceso la faccia di Schwitters. Ecco alcuni esempi di dettagli, eh… Qui adesso io non mi ricordo… non mi ricordo chi sono… queste facce non me le ricordo tutte. Ovviamente si riconosce la mano nodosa di Jean Cocteau, che ha avuto un grandissimo successo in tutto il laboratorio; all’unanimità tutti hanno detto, è la parte più sexy del suo corpo! Antonin Artaud: c’era poco da scartare; era una faccia bella, a quell’età, diciamo, così giovane, era una faccia bella in toto. Il sorriso, quelle labbrette un po’ molli, che vedete in basso, sono di Tristan Tzara. Sembra incredibile, ma è così. Abbiamo altre foto di… Le prendiamo… Forse… Ah, il musetto al centro… E chi è? Il musetto al centro è di El Lissitzky! Il risultato è che abbiamo ottenuto una serie di… Una lista… Anche qui, un’altra lista. Perché tutte queste liste? Le liste sono semplicemente una parte… Ecco… [prende un enorme rotolo di carta stampata e lo srotola davanti al pubblico] Qui c’è tutta l’Avanguardia, eh! Qui c’è tutto l’erotismo dell’Avanguardia europea, e anche un po’ americana! Ve lo srotolo qui davanti… Forse nell’altro senso… E si può, volendo… C’è pane per i vostri occhi, e per i vostri sogni notturni. Se volete. Ce n’è di uomini e ce n’è di donne, eh! Ve ne leggo qualcuna? Ve ne leggo qualcuna! Allora…. Tristan Tzara, un grande successo: [legge le frasi scritte sul rotolo] il monocolo di Tristan Tzara; lo strabismo di Tristan Tzara; le orecchie a sventola di Tristan Tzara; le labbra ammiccanti di Tristan Tzara. Le mani di Hugo Ball… Qui passiamo, cambiamo… Ma Hugo Ball non mi piace! Neanche Huelsenbeck, perché Huelsenbeck è stato il nemico di Schwitters, quello che lo ha cacciato dal dada berlinese. No. Io andrò avanti, e andrò a Hans Richter: la fossetta di Hans Richter; la mano con il sigaro di Hans Richter; il mezzo sorriso di Hans Richter; il modo di vestire di Hans Richter; il papillon di Hans Richter. Ma L’artista che più ha attratto è stato Kandinsky! Che a me personalmente non mi dà una grande soddisfazione, nel senso che non me lo sognerei mai. Tuttavia Kandinsky… Forse di lui possiamo ritrovare l’immagine… Ha qualcosa che non vi aspettereste, da un da un uomo che scrive Lo spirituale, e quindi che viaggia verso queste dimensioni così alte e immateriali dell’arte… Eppure la parte più sexy del corpo di Kandinsky era la caviglia sottile! Abbiamo la caviglia sottile di Kandinsky? [si gira verso l’assistente] Eccola qua! Guardate Kandinsky in questa foto giovanile, elegantissimo; Lo spirituale nell’arte deve ancora arrivare; a questo livello della vita, lui è ancora nelle cose materiali. E ingrandiamo la caviglia, ma la vedete da soli, una caviglia non a piede nudo, ma con una calza di seta…
Tutti questi dettagli che ci fanno innamorare del corpo degli artisti delle Avanguardie, hanno a che vedere con il fatto che ognuno di questi artisti non aveva un corpo, ma ne aveva due: uno… Prima di tutto Rimbaud… Uno è il corpo che vedete nella foto, è che non c’è più, e che è rimasto solamente come un simulacro; quindi voi lo vedete e pensate al vecchio nonno, ormai al bisnonno, a come era fatto, a come viveva, a qual era il suo mondo; e ve ne potete innamorare, se vi piace il genere, o se vi piace la sua caviglia. L’altro corpo è un corpo totalmente aperto. È il corpo linguistico di ognuno di questi. Il corpo linguistico di Rimbaud dura ancora tutt’oggi. E mentre io leggevo la poesia di Patti Smith, non facevo che aumentare il corpo di Rimbaud; partecipare ulteriormente al gonfiaggio o alla riproduzione del corpo di Rimbaud. In un certo senso — e qui forse sembra meno una pagliacciata — abbordare l’immagine, abbordare la faccia di Schwitters, è l’unico modo che io ho per fare l’amore con il corpo secondo di Schwitters, cioè con tutta la sua opera. E immaginare di fare l’amore con Arthur Rimbaud in Abissinia, e con i pidocchi della sua testa, è l’unico modo che Patti Smith aveva per fare l’amore con il corpus poetico di Rimbaud. E probabilmente era quello che interessava a Patti Smith. I’ve got a Crush on you.
[ piano: I’VE GOT A CRUSH ON YOU ]
Mi sono preso una cotta per te, e il mondo scuserà i miei sospiri e i miei lamenti. Questo è quello che dice una canzone, la canzone. Nel momento che… Adesso potremmo… Una volta che abbiamo stabilito una relazione tra il corpo numero 1 — il corpo materiale ma ormai defunto dell’artista, di cui ci rimangono solo le immagini, e quindi la bellissima faccia di Schwitters — e il corpo simbolico di Schwitters; io mi devo muovere su questi due piani. Quindi, da un lato accompagnare la mia dedizione al corpo, all’immagine, alla faccia, al sorriso, alle vicende umane di Schwitters, a quello che gli è successo, a come ha vissuto; e immaginarlo nelle situazioni cercando di portarlo… cercare di portarlo dentro la mia vita, pensandolo. Dall’altro, occorre una relazione con il corpo numero 2, cioè con il corpo linguistico.
Coro: Oh, che sorpresa!
La sorpresa arriva quando… Schwitters, a questo proposito è molto chiaro: se vogliamo portare la realtà dentro il nostro linguaggio, paradossalmente la realtà deve perdere veleno. E che cos’è il veleno della realtà? Il significato! Quindi l’assurdo è che, se vogliamo trasportare la realtà dentro il nostro linguaggio, che per noi rappresenta l’unica possibilità di significare, dobbiamo accettare che la realtà si alleggerisca e che perda i suoi tanti significati. Mi daresti… [chiede all’assistente] O forse abbiamo il… Ah, eccolo, perfetto. Il veleno delle cose… Quello che Schwitters chiamava ‘il veleno delle cose’, il significato che le cose rivestono all’interno della realtà. Cioè…
Coro: Questo sì che è strano!
Che cosa… Sì… Dov’è la mia cartolina? Che fine ha fatto la mia cartolina? [sembra aver perso la sua cartolina, la cerca con ansia, infine la trova e la bacia] Eccola! Il mondo ha deciso che questa è una cartolina che costa 1 euro; che una cartolina si prende, si mette nel libro, si appende al muro, si manda agli amici… Questo è il significato materiale della cartolina. Se io voglio fare in modo che la cartolina entri nel mio linguaggio, nella mia vita e nella mia possibilità di desiderare Schwitters al di là di questa cartolina, devo far perdere a questa cartolina tutti i significati che il mondo gli ha attribuito. Quindi, non la spedisco agli amici, non l’appendo al muro, non la uso come un segnalibro, ma faccio qualcosa di diverso. Per esempio, organizzo un laboratorio e convinco delle persone a fare un Rosario tutti insieme per tre volte durante il mese di Maggio. Questa mi sembra un’idea migliore. E questa cartolina è al centro. Nel primo numero di Merz, Schwitters scrive: Le cose sono inserite nell’immagine, o così come sono, oppure modificate, a seconda di ciò che l’immagine richiede. Esse perdono il loro carattere individuale, il proprio specifico veleno, essendo valutate l’una di contro all’altra, e per via di una smaterializzazione, esse diventano materiali per l’immagine. Lui sta parlando del suo metodo costruttivo, cioè la merzificazione. Che cos’è la merzificazione, nulla a che vedere con la merce, Merz era il nome che Schwitters, come sapete dava al suo modo di fare arte. Merzificare significava mettere in relazione, creare una relazione di linguaggio tra elementi che erano stati preventivamente svuotati di linguaggio. Esempio: un biglietto dell’autobus. Raccogliere un biglietto dell’autobus per strada. Che cosa succede? Dov’è il biglietto dell’autobus… [chiede all’assistente] Il biglietto, perfetto. [ora legge brani di un testo proiettato, non di Schwitters] Un biglietto dell’autobus che non serve più a niente, è un pezzo di carta libero di essere non sé stesso, sragionato da sé, evviva! Ma non è finita qui. Il biglietto ci ricorda qualcosa? Porta forse ancora su di sé il calore della tasca che lo ha conservato o, peggio ancora, della mano che lo ha timbrato? È il caso che perda anche questo veleno; questa specie particolarissima di veleno che si chiama ‘umanità del biglietto dell’autobus’. Questo veleno è responsabile della nostalgia; e dalla nostalgia alla malinconia, è un attimo; e dalla malinconia al tonfo dell’opera/immagine contro il primo oscuro pavimento-sabbia-mobile disponibile, è meno di un attimo...
Devo dire una cosa. Schwitters era stato… è stato in due momenti della sua vita epilettico. Fu epilettico da bambino, e l’epilessia cominciò quando un gruppo di bambini bastardi gli distrussero il giardino, che lui aveva con tanto amore costruito. Seguirono due anni di depressione e di epilessia; e si pisciò sotto fino ai dodici anni, quindi immaginate come era sensibile, e come era grande la sua paura. Questo era il punto da cui è partita la sua riflessione sulla realtà. Quindi, svuotare di veleno la realtà significava fare in modo che tutte queste relazioni negative che il mondo gli mandava, si allontanassero; quindi che il mondo perdesse il suo peso e l’origine della sua malinconia. L’epilessia ritornerà nel 1941, quando sarà internato in un campo di internamento in Inghilterra, fuggito dalla Germania. E lì lo chiamavano baby-bitter; questo era il nome che veniva dato a Schwitters, che ormai aveva quasi sessanta anni, non era più un ragazzo. E il fatto che venisse chiamato baby-bitter la dice lunga sulla dolcezza di quest’uomo e sulla sua bizzarria; sul fatto di accettare un soprannome così simpatico. Tutto questo arrivava dopo una vita passata a svelenire la realtà. Che cosa c’era dopo la perdita del veleno? Dopo la perdita del veleno c’era la possibilità di costruire un linguaggio che fosse puro ritmo. Quindi un ritmo senza significato, che fa il nuovo linguaggio. I’ve got rhythm.
[ piano: I’VE GOT RHYTHM ]
I problemi del mondo non mi toccano più non stanno dalle mie parti. Ho la luce delle stelle. Ho dei dolci sogni. Ho il mio uomo. Chi può chiedere di più? Il sogno non viene a sproposito, perché il sogno è l’unico momento in cui noi siamo totalmente dalla parte del linguaggio. Non c’è più il nostro corpo, non sentiamo il nostro corpo. Quando noi siamo dalla parte dell’immagine, del linguaggio, nel sogno, noi siamo dalla parte dei nostri fantasmi. Quindi se io sogno di baciare la guancia di Schwitters, il mio corpo non dice di no, non mi ricorda che questa è un’illusione. Sono beatamente addormentato. Sogno. Sono puramente preda del mio fantasma e quindi del mio linguaggio. Sono in pace. Questo è quello che accade anche con l’opera d’arte. In che senso accade con l’opera d’arte… Nel senso che… Nel momento in cui noi viviamo una relazione di desiderio…
Coro: Questo è un cliché!
La relazione desiderante nei confronti, diciamo, che ha come oggetto l’opera d’arte, non è un cliché, non è un cliché. Noi possiamo anche sforzarci di avere un atteggiamento razionale, possiamo anche cercare di non dimostrare la nostra, il nostro asservimento emotivo all’opera d’arte, ma da qualche parte questo asservimento emotivo deve esserci! Non sto parlando solamente dei quadri, eh. Parlo anche della letteratura e parlo anche della musica; anzi in un certo senso, se mi seguite un momento nel discorso, con la musica è tutto molto facile. Se voi dite che vi siete innamorati di… Beethoven, e che quando ascoltate Beethoven sentite una strana emozione, e vi sentite sciogliere dentro, e sentite che quasi non c’è più… Magari chiudete gli occhi, perché volete, appunto, non ricordare la realtà, volete allontanarla, e calarvi interamente in questa musica. E forse siete da soli a casa, da sole a casa, e vivete una esperienza di pura confusione con l’opera, con Beethoven. Nessuno dice che questo è un cliché. Questo è quello che i romantici pensavano dell’esperienza estetica: il totale oltrepassamento del mio corpo. Quindi io devo uscire dal mio corpo, incontrare la musica, diventare tutt’uno con la musica, farmi musica!
Coro: E questo sarebbe il Paradiso?
Questo è il Paradiso! Questo è Paradiso! Nella letteratura può accadere lo stesso. Perché io me lo ricordo. Mi ricordo soprattutto in età giovanile, perché poi crescendo si ha meno… ci si fa una scorza, in un certo senso. Ma quando si è giovani e si legge Shakespeare. O io mi ricordo, sull’autobus per Chieti leggevamo Ibsen. Sembra assurdo, ma è così; perché c’era stato uno spettacolo al teatro Marrucino, e io avevo imparato che esisteva La donna del mare, e mi davo atteggiamenti di chi leggeva Ibsen! Shakespeare era passato. Ora c’è Ibsen. E questa lettura di Ibsen per me aveva il senso di un innamoramento. E come si mostrava questo innamoramento? Per esempio appoggiando la testa al finestrino dell’autobus in modo malinconico, mentre leggevo La donna del mare. Oppure in casa, quando facevo le parti de La donna del mare: il marito, la moglie.
E con l’opera d’arte? Con l’opera d’arte, quello che più di tutti dovrebbe scioglierci, e ridurci a acquetta, poltiglia desiderante, sarebbe Monet; in particolare Monet all’Orangerie. Eccole qui, le Ninfee. [indica un’immagine proiettata] Perché parlo delle Ninfee? In realtà si potrebbe parlare di un’opera, di tantissime altre opere d’arte. Tuttavia le Ninfee all’Orangerie hanno la straordinaria forza delle opere che si pongono in un momento di passaggio. Le Ninfee non sono più impressionismo, non sono ancora astrattismo, sono tutto. Potrebbero essere delle opere espressioniste, potrebbero essere delle opere impressioniste, potrebbero essere delle opere astratte. L’importante è capire quale porzione dell’opera voi state guardando. Quando voi leggete le testimonianze su Monet all’Orangerie, gli aggettivi che troverete sono appunto gli aggettivi di chi descrive un’esperienza totalmente catalizzante: qualcosa che può farvi perdere l’equilibrio, perché è troppo bello. Possiamo vedere una immagine del museo dell’Orangerie? Ma che cosa succede? Succede che in questo museo dell’Orangerie, nessuno sta con la testa appoggiata al finestrino, nessuno sta dando di matto, nessuno sta sudando, nessuno sta svenendo, nessuno sta sognando di penetrare questi quadri e di perdersi totalmente nella dimensione del dipinto. Ci sono dei motivi per cui questo non succede. È chiaro che se voi andate a un concerto rock, voi potete pure fare l’amore sul prato, se la musica vi ha talmente eccitato. C’è una dimensione privata della musica e della letteratura.
Coro: Oh, che sorpresa!
E non c’è una dimensione privata dell’arte. Perché qua dentro, se pure vi piacesse uno di questi quadri, e vi piacesse al punto da attivarvi completamente, da chiamarvi, come: Venite, venite, venite, facciamo l’amore! Voi non fareste proprio un bel niente! Perché vi vergognereste delle facce degli altri, che vi giudicano. E non solo. Ma all’Orangerie è pure il modo, la disposizione delle opere, il fatto che ci siano i guardiani, il fatto che non sarete mai soli, le luci, il fatto che si chiama Orangerie, che avete pagato un biglietto. Tutto quanto questo fa sì che voi non possiate in nessun modo sdilinquirvi per l’opera d’arte.
C’è pure qualcos’altro. C’è il fatto che…. [prende una matita] Qui ho bisogno di una matita per fare una scenetta; la scenetta è questa. Se io chiudo gli occhi, e anche mi metto per terra, io posso continuare ad ascoltare Beethoven finché mi pare. Posso chiamare qualcuno e fargli leggere Ibsen, se Ibsen è quello che mi piace. Se ho voglia di fare l’amore con Rimbaud, come diceva Patti Smith, come voleva fare Patti Smith, devo chiudere gli occhi, escludere la realtà, e posso immaginare di fare l’amore con Rimbaud. Con l’opera d’arte non sono così. [si mette la matita puntata sulla fronte] Con l’opera d’arte tu hai una specie di matita puntata qua, che è il tuo sguardo, ed è la tua distanza ma anche la tua relazione con questi oggetti. Non si sa chi dei due è la statua; se sei tu che guardi l’opera, o se è l’opera che guarda te. Ma non ci si può spostare. Se io faccio così, [si toglie la matita dalla fronte] l’opera scompare, già è finita. Devo ritornare a questa posizione. La posizione è quello che l’arte ci insegna, che l’arte visiva ci insegna. Il fatto di dover prendere una posizione, all’Orangerie, di dover stare di fronte, di non potersi muovere neanche di un passo, di non poter rientrare in nessuna altra dimensione linguistica che ci assolva dal veleno quotidiano, dal veleno delle cose, questo fa sì che io non possa mai veramente partecipare in modo totalmente libero all’opera. E quando si parla di arte partecipata, si sta parlando di un’arte mediata dal buon gusto, dalle relazioni, dalla morale, eh. L’arte relazionale è un’arte della morale. Noi quando abbiamo fatto il laboratorio, era un’arte della morale. Non ho detto moralistica, ma del comportamento sì: che cosa pensi tu? che cosa penso io? vuoi guardare la faccia di Sophie Taeuber-Arp? che cosa ti piace? Questo è il tipo di relazione che noi stabiliamo con l’opera d’arte. Quindi una relazione in cui il nostro corpo è statuizzato, cioè è immobile. Tuttavia, se per un puro caso succede che noi entriamo in contatto, in un contatto ultra-statuario con l’opera d’arte, con un’opera… Può essere Monet, può essere un collage di Schwitters…
Coro: Ma non è pazzesco?
Quello che succede è che da quel momento questa specie di statua si scioglie, e voi proverete, proviamo un’esperienza che è quella: la partecipazione, la commozione, il sentimento verso l’opera d’arte. Da quel momento tutto quello che noi faremo sarà sculettare davanti a Monet. Vogliamo piacere a Monet. Vogliamo che Monet ci possegga. Mone-et! Io chiedo a Monet di farmi, di fare su di me quello che dovrebbe fare! [fa finta di provocare sessualmente uno dei quadri appesi su una parete alle sue spalle, sculetta in modo esagerato; il coro urla divertito] Voglio la storia d’amore con Monet! Do, do, do.
[ piano: DO DO DO ]
Che cosa è successo? Che una volta…Coro: Oh, che sorpresa!
…che una volta, per caso, la statua, quindi la relazione di distanza e di statuità con l’opera d’arte, è caduta. Quindi a un certo punto ci siamo ritrovati in piena intimità con Monet, con le Ninfee. E quello che noi vorremmo adesso è che le Ninfee ripetessero questa esperienza all’infinito. Ma questo non è possibile. Non è possibile fare l’amore all’interno dell’Orangerie con le Ninfee di Monet, perché non esiste un modo. Che significa fare l’amore con l’Orangerie? Che significa fare l’amore con le Ninfee di Monet? Significa trasportarsi verso… Accettare, diciamo, che questo amore diventi una… una specie di metafora. Io parlo dell’amore. Io dico ‘fare l’amore con le ninfee dell’Orangerie’, ma non intendo quello che normalmente intendiamo per ‘fare l’amore’. Io ho detto ‘sculettare davanti a Monet’, ma non intendo… Io devo capire che significa una specie di sculettamento spirituale, uno sculettamento interiore, estetico.
Coro: E questo sarebbe il Paradiso?
Questo, signora, è l’unico Paradiso possibile: il Paradiso nel quale noi facciamo pace con la nostra sostanza simbolica.
Coro: E chi poteva immaginarlo?
Noi accettiamo che solamente sul piano del simbolo noi possiamo avere un’esperienza di copula con l’opera d’arte, e con Monet, e con la caviglia di Kandinsky, e con la fossetta di Max Ernst o non mi ricordo di chi, e con la splendida faccia di Kurt Schwitters. Quindi solamente quando io mi pongo su una dimensione simbolica tutto questo può diventare effettivamente una specie di copulazione. Porsi in questa dimensione significa accettare una specie di teatro. Quindi io entro all’interno dell’Orangerie… Ma entro anche qua dentro, eh… Non voglio fare un riferimento, diciamo, al contesto che ci ospita, un contesto pieno di filosofi, perché qui parlano continuamente, qui non è solo arte: c’è un po’ di arte, un po’ di filosofia, un po’ di poesia, un po’ di questo, un po’ di quello, un po’ di tutto; perché… perché… bisogna un po’ capire in che modo noi possiamo avere a che fare con l’arte senza venirne risucchiati, e allora il filosofo ci spiega…
Coro: È tutta una farsa!
È tutta una farsa, è tutto un teatro. L’Orangerie è un teatro. Tu paghi il biglietto, entri all’Orangerie, non potete smutandarvi, non potete denudarvi, non potete fare nulla. Potete solamente guardare Monet e cercare di prendere tutto quello che potete prendere da Monet, e poi nella distanza, nel momento che rientrate dentro voi stessi, in una specie di ambiente puramente simbolico, copulare con Monet. E cercare di capire che cosa significa l’unione indissolubile tra la vostra soggettività e l’opera d’arte che avete appena visto.
La canzone che vi introduco è una canzone che parla di due persone che si stanno separando.Coro: Fate entrare i pagliacci!
Esattamente si chiama così, Send in the Clowns. Send in the Clowns è una canzone… Tutte quelle che abbiamo ascoltato erano di George Gershwin, mentre le ultime due, cioè Send in the Clowns e la prossima non sono di George Gershwin.
Coro: E dove sono i pagliacci?
I pagliacci adesso stanno qui, ce ne stanno tanti. Perché se tutti voi avete vissuto un’esperienza di fusione con l’opera d’arte, siete stati pagliacci a vostra volta. Che cosa succede a queste due persone? Queste due persone si stanno lasciando, e dice, una: [legge qua e là traducendo dal testo della canzone] Non è pazzesco? E che siamo una coppia noi?… Adesso mentre io leggo, vi prego di immaginare che queste parole siano rivolte a… [si rivolge all’assistente] Mettiamo un… Mettiamo l’Orangerie. No, il quadro… Allora, queste parole che io leggo sono rivolte alle Ninfee. Quindi, ci siamo io, le Ninfee: una coppia famosa di amanti. E ci stiamo per lasciare, perché abbiamo capito che non c’è più storia tra di noi, non è possibile avere la fusione con l’opera d’arte. Non è pazzesco? Siamo una coppia? Io qui sul pavimento, con i piedi per terra, e tu con la testa per aria! Il fantasma è sempre in movimento. A questo proposito… Sì, il fantasma è sempre in movimento. Freud in realtà dice un’altra cosa, dice che il sintomo si muove continuamente, il fantasma è sempre immobile. Cioè l’immagine che voi desiderate dentro la vostra testa, cioè: questa, non fa un passo. Non si muove di un passo. Siete voi che vi spostate. È la vostra malattia che si sposta da un giorno all’altro. Allora, un giorno siete tristi, un giorno siete felici, un giorno siete eccitati, un giorno lo bacereste, un giorno gli sputereste. Ma il fantasma, l’unghia che è cresciuta nel vostro pensiero, è sempre immobile.
Coro: Oh, che sorpresa!
In realtà l’opera d’arte non è immobile. Quindi Freud forse si sbagliava, non lo so; ha detto un sacco di sciocchezze, a volte. Comunque: Tu a mezz’aria! Fate entrare i pagliacci! Ma che bel Paradiso! Esatto! Ma che bel Paradiso! Uno che non… uno che non si ferma mai — cioè io, che mi sposto intorno all’opera — e un altro che non si può muovere — l’opera che sta al muro che non può fare un passo. Dove sono i pagliacci? Fate entrare i pagliacci! Proprio quando ho smesso di aprire tutte le porte — quindi: Dégas, Manet, Seurat, eccetera eccetera, a un certo punto arrivi all’Orangerie di Monet e dici: No, basta, questa è la porta definitiva, questa è la porta di cui mi innamorerò, tutto il resto è finito per me, non ne voglio più sentire parlare! — Proprio quando ho smesso di aprire tutte le porte, e ho capito finalmente che l’unica porta che volevo era la tua porta, proprio in quel momento… Ed ero sicuro delle mie battute — cioè che cosa devo dire quando sono di fronte alle Ninfee di Monet, e devo dire: M a c h e b e l l a s m a t e r i a l i z z a z i o n e d e l c o l o r e a t t r a v e r s o l a p e n n e l l a t a ! M a c h e m e r a v i g l i o s o t r a s f e r i m e n t o d e l l a s e n s a z i o n e c h e p u ò d a r e u n g i a r d i n o s u t e l a ! Queste le mie battute che dico per entrare in relazione erotica con le Ninfee di Monet. Proprio in quel momento, tu te ne sei andata. — Le Ninfee sono sparite. Quindi, più noi ci avviciniamo per cercare di avere questa relazione, più le Ninfee svaniscono. E alla fine la canzone conclude: Non c’è bisogno che chiamiate i clown, i pagliacci, i pagliacci siamo noi — io e le Ninfee di Monet. Cioè, non c’è nessuna possibilità di sbagliarsi, stiamo recitando una farsa, ognuno ha il suo copione, e grazie a questo copione — il copione è anche il linguaggio d’amore, copione è l’estetica, copione è quello che tu devi dire quando devi esprimere il tuo gusto per qualcosa — grazie a questo copione, possiamo sopravvivere. Send in the clouwns.
Coro: Fate entrare i pagliacci!
Eccoli![ piano: SEND IN THE CLOWNS ]
Dracula è il secondo corpo di Arthur Rimbaud. E anche il secondo corpo di Kurt Schwitters. Anche il secondo corpo di Dante Alighieri. E non è che dobbiamo avere a disposizione delle fotografie per accedere al secondo corpo. Possiamo accedere al secondo corpo semplicemente leggendo, ascoltando, guardando le opere. Questo è il modo come si accede al corpo simbolico del poeta, dell’artista, del musicista. E più questo corpo simbolico ci succhia il sangue, e noi vogliamo che ci succhi il sangue, perché vogliamo questo godimento estetico. — ‘Godimento estetico’ non è una parola… Anche Kant, che non immaginereste mai avere in bocca parole come ‘piacere’, ‘godimento’, usava queste parole. — Quindi, più noi desideriamo che questo sangue ci venga succhiato, più Dante Alighieri, Rimbaud, Virgilio, diventano…, continuano la loro immortalità. Immaginate adesso questo mondo pieno di vampiri, e questi vampiri sono i tanti fantasmi, le tante unghie che al vostro cervello, bisognoso di piacere, bisognoso di letteratura, bisognoso di arte, d’amore, eccetera, gli sono spuntate. E questi fantasmi, che fanno? Vengono da voi, e vi succhiano un po’ di sangue, cioè vi tolgono il tempo, i soldi, i pensieri, l’amore, la vita. Loro diventano immortali, e continuano ad essere immortali. E voi che ci guadagnate, noi che ci guadagniamo? Io che c’ho guadagnato di 2 anni di amore per una cartolina? Ho partecipato un po’ a questa immortalità? Nella storia di Nosferatu, chi viene succhiato muore. Passa dall’altra parte. E dove passa? Che cosa c’è dall’altra parte? Dove stanno i vampiri? Dall’altra parte c’è il simbolo, la separazione totale dal corpo, e il puro linguaggio, la pura poesia, la pura pittura. Non siete più dove… dove avete preso l’autobus, non siete più dove avete fumato la sigaretta, non siete più quelli che mangiano in cucina. Ma state in un altro mondo, dove Dracula vi ha portato per farvi a fettine, per succhiarvi tutto il sangue. Lì potete fare l’amore con il fantasma. In questa dimensione. Quindi devo accettare di fare un passo affinché il giorno che compro la cartolina, mi innamoro di quella bella faccia, mi prende la malinconia perché io non potrò mai baciare quella bella faccia, e non potrò mai abbracciare quelle belle spalle, non potrò mai partecipare a quel corpo numero 1, numero 2… A un certo punto, questa malinconia che mi ammala, io ne devo uscire, perché devo continuare a sopravvivere. L’unica possibilità è che io possa trasformare tutto ciò in allegoria. Questo era qualcosa che… Susan Sontag fece uno studio sui rapporti tra artisti malinconici che usavano… letterati e scrittori malinconici che avevano un uso compulsivo dell’allegoria. L’allegoria che cos’è? È una possibilità di guarire da una tristezza profonda che ci che ci proviene dalla consapevolezza che noi con il fantasma non riusciremo mai e poi mai a fare l’amore. E ne siamo separati finché viviamo. Questo è quello che ci spinge all’allegoria.
[ il coro occupa la scena e recita una litania ad alta voce ]
PELLE ↔ MALINCONIA
NASO ↔ ALLEGORIA
GESSO ↔ MALINCONIA
SANGUE ↔ ALLEGORIA
NUVOLE ↔ MALINCONIA
FIENILE ↔ ALLEGORIA
DISCIPLINA ↔ MALINCONIA
TESTAMENTO ↔ ALLEGORIA
OPERA ↔ MALINCONIA
FERRAGLIE ↔ ALLEGORIA
COLONNE ↔ MALINCONIA
COLLA ↔ ALLEGORIA
CAPELLI ↔ MALINCONIA
PORTE ↔ ALLEGORIA
MEMORIA ↔ MALINCONIA
DENTIERA ↔ ALLEGORIA
POLVERE ↔ MALINCONIA
MEMBRO ↔ ALLEGORIA
SCARTI ↔ MALINCONIA
AMMASSO ↔ ALLEGORIA
MERZBARN ↔ MALINCONIA
SENSO ↔ ALLEGORIA
TESTA ↔ MALINCONIA
SEGNO ↔ ALLEGORIA
MURO ↔ MALINCONIA
UNGHIA ↔ ALLEGORIA
SOFFITTO ↔ MALINCONIA
LUOGHI ↔ ALLEGORIA
Over the rainbow… Over the rainbow…[ piano: OVER THE RAINBOW ]
[legge dal libro di Patti Smith] I fuck a saint who is made of water. When we reappear the birds are chirping. Ho scopato con un santo fatto d’acqua. Quando siamo riemersi gli uccellini cantavano. Allora, vi auguro di farvi una scopata con il vostro fantasma preferito. Se è Dante Alighieri o se è Kurt Schwitters, io non sono geloso. Buonasera.









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Introduzione: il coro che recita il Rosario-Schwitters
The man I love • Innamorarsi di una cartolina • Il fantasma nell’immagine • La faccia di Schwitters è il Paradiso
Stairway to Paradise • Come si fa l’amore con Rimbaud • La faccia più bella di tutta l’Avanguardia • La caviglia sottile di Kandinsky • I due corpi di Rimbaud
I’ve got a Crush on You • Il veleno della realtà • Un nuovo linguaggio • I’ve got Rhythm
Avvinto dal mio fantasma • Relazione di desiderio • Soprattutto Monet • L’arte ci insegna la posizione • Sculettare verso Monet • Do Do Do
L’Orangerie è un teatro • Soggettività e opera d’arte • Divisi e separati • Recitare una farsa • Send in the Clowns • La storia di Nosferatu • Il coro recita Malinconia e Allegoria
Over the Rainbow • I fuck a saint/birds are chirping
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